Durante l’emergenza Covid-19 molti imprenditori e professionisti si sono trovati nella situazione di non poter svolgere la propria attività a causa delle restrizioni imposte dallo Stato. Da qui è nata una domanda comune: è possibile ottenere una riduzione del canone di locazione a causa del Covid?
Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa chiarezza, stabilendo i limiti e le reali possibilità per i conduttori.
Il caso: una richiesta di riduzione del 50% dei canoni
Una società commerciale, costretta a chiudere o limitare la propria attività durante la pandemia, aveva accumulato una forte morosità. I locatori hanno così avviato un procedimento di sfratto.
La società, a sua volta, ha presentato una controdomanda chiedendo una riduzione del 50% del canone per i mesi di chiusura, invocando:
- l’eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.),
- la buona fede contrattuale,
- le previsioni del Decreto “Cura Italia”.
Il Tribunale aveva dato ragione ai proprietari, e la questione è arrivata di fronte alla Cassazione.
La posizione della Cassazione: nessun diritto automatico alla riduzione
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della società e ha ribadito un principio centrale:
Non esiste un diritto automatico del conduttore a ottenere una riduzione giudiziale del canone di locazione a causa del Covid.
Vediamo perché.
1. Il Decreto “Cura Italia” non prevede riduzioni automatiche
L’art. 91 del D.L. 18/2020 esclude la responsabilità del conduttore per l’inadempimento legato al rispetto delle misure di contenimento.
Questo significa che:
- il mancato pagamento non è colpevole,
- ma il debito rimane,
- e non si genera alcun diritto alla riduzione del canone.
La norma tutela l’inquilino da richieste risarcitorie, ma non obbliga il locatore a rinegoziare né consente al giudice di ridurre il canone.
2. Eccessiva onerosità: il rimedio è la risoluzione
Invocare l’art. 1467 c.c. non dà al conduttore il potere di imporre una modifica del contratto.
La legge è chiara:
- il rimedio a disposizione della parte svantaggiata è la risoluzione del contratto,
- il locatore può offrire volontariamente una modifica dell’accordo per evitarla.
Dunque, la rinegoziazione può avvenire solo su base volontaria, non forzata.
3. Buona fede contrattuale: un obbligo di dialogo, non di riduzione
La Cassazione ricorda che la buona fede impone alle parti un dovere di collaborazione e rinegoziazione.
Tuttavia:
- la società non aveva nemmeno provato di aver richiesto una rinegoziazione prima della causa;
- non aveva fornito dati economici specifici che provassero in modo puntuale l’impatto del Covid sull’attività.
Senza prove, la richiesta non può essere accolta.
Cosa significa per locatori e conduttori?
La decisione della Cassazione definisce alcuni punti chiave:
1. Nessun diritto alla riduzione automatica
Il giudice non può intervenire per modificare il canone su richiesta unilaterale del conduttore.
2. La risoluzione è lo strumento previsto dalla legge
Chi non riesce più a sostenere il canone deve chiedere la risoluzione del contratto, non la revisione forzata.
3. La rinegoziazione resta possibile ma volontaria
Le parti possono accordarsi per una riduzione temporanea, ma non è un obbligo.
4. Serve sempre la prova concreta del danno
Generiche affermazioni non bastano: occorre documentare la perdita di fatturato e il nesso con le restrizioni.
La sentenza della Cassazione rappresenta un punto fermo: anche in presenza di eventi eccezionali come la pandemia, il canone di locazione non può essere ridotto automaticamente su richiesta del conduttore. La legge offre strumenti precisi — come la risoluzione per eccessiva onerosità e la rinegoziazione volontaria — ma non consente interventi unilaterali o imposti dal giudice.













